ita di Santa
Margherita da Cortona
A cura delle Clarisse del Monastero di Lucca
"Ricorda, poverella..."
Margherita nacque nel 1247 a Laviano, un
piccolo borgo nel territorio del Comune di Perugia, oggi appartenente al Comune
di Castiglion del Lago. Suo padre era un contadino che la tradizione ha
identificato con Tancredi Bartolomeo: egli coltivava dei terreni affittati dal
comune di Perugia che aveva allora il dominio di Laviano. Il nome del padre di
Margherita compare due volte nella concessione di due distinti lotti di terreno:
ciò fa presumere che la famiglia godesse di discreta posizione sociale.
Della madre non si conosce il nome né si hanno altre notizie se non
quella - determinante per la vita di Margherita - della morte avvenuta quando
Margherita aveva solo otto anni. Il ricordo che ella conserverà sempre della
madre sarà estremamente positivo, carico di dolcezza e di affetto: da lei
ricevette la prima educazione che le impresse nell'animo gentilezza e generosità
di cuore e i primi insegnamenti sulla preghiera, come riporta anche la Legenda:
"Margherita aveva la consuetudine di disporre le sue preghiere a comune utilità
come le aveva insegnato la mamma quando era ancora nel secolo" (VIII, 4).
Dopo la morte della madre e l'ingresso in casa della matrigna, dura e
incapace di trasmetterle affetto, cominciò un periodo difficile per Margherita
che, coincidendo con la complessa età dell'adolescenza, la porterà a crescere
intristendo in una situazione di solitudine senza precisi punti di riferimento.
La sua straordinaria bellezza e giovinezza fiorirono nonostante tali condizioni:
Margherita era umanamente ricca, fatta per la vita, avrebbe preso per sé e
restituito tutto l'amore del mondo intero.
Aveva sedici anni quando attirò l'attenzione di un giovane nobile e
ricco al quale la tradizione ha dato il nome di Arsenio della famiglia Del Monte
o, secondo alcuni studiosi, dei Pecora, proprietari di terre a Valiano, nella
zona dei Palazzi. Attratta da un amore che le appariva promettente, ella accolse
l'invito di Arsenio a trasferirsi nel suo castello di Montepulciano fuggendo da
sola e di notte discendendo da Laviano verso il fondo acquitrinoso della Val di
Chiana. A quei tempi la Val di Chiana non era ancora attraversata dal Canale
Maestro iniziato da Antonio Ricasoli nel 1551, né era stato colmato il tratto
fra il Lago di Chiusi e quello di Montepulciano: Margherita rischiò quindi di
rimanere impigliata fra i canneti o addirittura di affogare, essendosi la barca
capovolta.
Questo
momento così importante viene fissato anche dalla Legenda in una rilettura a
posteriori dell'episodio: "Ricorda, poverella, quando traversasti l'acqua da
sola nella notte... io mi ricordai di esserti padre misericordioso, ti protessi
benevolmente e ti liberai dal pericolo" (I, 2). Le orme della misericordia di
Dio erano già impresse e documentate sulla polvere dell'avventura che porterà
Margherita a una nuova condizione di prestigio sociale, di gratificazione
affettiva ma che lascerà sempre in lei uno spazio di inquietudine crescente e di
delusione per il desiderato matrimonio con Arsenio, da lui promesso ma mai
celebrato. "Nella città di Montepulciano incedeva adorna di tanti vestiti, con
fermagli d'oro tra i capelli, a cavallo o a piedi, col viso dipinto, ostentando
la ricchezza del suo uomo " (II, 14) ma "mentre veniva riverita dai nobili o dai
popolani della città o della campagna, li rimproverava perché sapendo della sua
riprovevole condotta avrebbero dovuto toglierle il saluto e neppure rivolgerle
la parola" (I, 11).
Dalla
convivenza con Arsenio, segnata tra l'altro dalla sofferenza per non essere
accettata dalla famiglia di lui, nacque a Margherita un figlio, ma ciò non valse
a regolarizzare la situazione. La maternità la aprì a una crescente compassione
verso i poveri mentre affiorava sempre più alla sua coscienza la superficialità
della vita che conduceva tra la residenza di città e quella di campagna, ai
Palazzi: "Ricorda che quando il mondo ti piaceva ancora, io tuo maestro ti diedi
tanta compassione materna verso i poveri e gli afflitti e suscitai in te tanto
gusto di luoghi solitari e remoti che andavi dicendo nel tuo fervore: Come
sarebbe dolce pregare qui, con quanta solennità e devozione si potrebbero
cantare le lodi di Dio e fare penitenza salutare, tranquilli e sicuri!" (I, 10).
Erano trascorsi nove anni dalla sua fuga dalla casa paterna, quando
Margherita si trovò a una nuova svolta della sua esistenza: Arsenio venne
tragicamente ucciso durante una battuta di caccia nei boschi di Petrignano, a
pochi chilometri dai Palazzi, dove ella lo stava aspettando. La tradizione
posteriore ha arricchito le circostanze aggiungendo che Margherita fu condotta
al bosco dal cane di Arsenio che tornò solo al castello e si aggrappò al suo
vestito trascinandola nel luogo dove giaceva il corpo esanime.
L'espulsione dal castello e dalla casa paterna alla quale fece
ritorno furono gli eventi che succedettero alla morte di Arsenio: Margherita si
trovò col suo bambino improvvisamente sola, costretta ad affrontare la vita, a
maturare lei stessa una decisione su quello che doveva essere il suo futuro.
Dopo essere stata respinta dal padre, condizionato nella sua debolezza dalla
moglie, si recò verso la chiesetta delle sue preghiere di bambina e, sedutasi
sotto un fico lì vicino, esplose in un pianto prolungato dove confluirono mille
pensieri e sentimenti: dolore, smarrimento, rabbia per il rifiuto, ipotesi per
il futuro... aveva venticinque anni e avrebbe potuto rifarsi una vita.
In quel momento tutti i germi di anelito verso Dio depositati nel
cuore di Margherita che, come abbiamo visto, la conducevano verso i poveri e
verso luoghi solitari, fiorirono in un misterioso incontro tra la sua libertà e
la misericordia del Padre. E' questo l'"attimo" della conversione nel quale il
cuore di Margherita si distacca da ogni progetto proprio per consegnarsi
interamente a Dio che diventa il Signore assoluto.
Il momento della massima disperazione, che sembrava aver aperto una
voragine nella sua esistenza, diventò invece il momento della più dolce speranza
e la voragine si trasformò in un grembo che la rigenerò a nuova vita. Ora
Margherita non si appoggia più su se stessa né sul mondo, del quale aveva subito
il fascino della gloria e della ricchezza: ha sperimentato quanto tutto questo
possa dissolversi in un attimo. Solo l'amore di Dio non crolla e, appoggiandosi
su di Lui, può ricominciare un cammino e ricostruire la sua esistenza: il
"ritorno" sarà sorgente di nuove relazioni con Dio e con i fratelli, uno
spostamento in avanti.
"Seduta
e piangente sotto quel fico mi richiedesti come tuo maestro, padre, sposo e
signore. Io che avevo creato la tua bellezza interiore e ora intendevo
rinnovarla e l'amavo, ti illuminai e ti suggerii di recarti a Cortona per
metterti sotto l'obbedienza dei miei Frati Minori. Tu allora, ripreso animo,
volgesti il tuo cammino, senza indugio, fino a Cortona" (I, 3). Senza indugio,
senza nessun'altra sicurezza che quell'invito - misterioso quanto reale - e
nessun'altra "veste" che quella della misericordia, Margherita camminò verso
Cortona con la fiducia dei poveri e l'umiltà del pubblicano, con ciò che Dio ha
di più caro e di più intimo: il perdono, che le aprirà le porte della vita
nuova. Dietro a questa immagine si può cogliere il vibrare dei sentimenti del
Signore Gesù che per primo ci ha amati e si è messo pazientemente in cammino
lungo la via del peccato per farla diventare via di salvezza.
"Donna nuova"
Quando
Margherita giunse a Cortona, nel 1272 circa, questo piccolo centro della Tuscia
meridionale si apprestava a diventare, grazie all'influenza della famiglia
Casali, una città-stato. E' un periodo di espansione economica e di crescita
politica, anche se gli ostacoli per la riconquista di un proprio spazio di
libertà non mancavano. Uno dei maggiori era costituito dai diritti feudali che
il Vescovo e Conte di Arezzo, Guglielmo degli Ubertini, continuava a rivendicare
su Cortona. Di qui le contese tra la città e il Vescovo alle quali si
aggiungevano quelle interne tra i Ghibellini al potere e i Guelfi, da poco
riammessi in città dopo l'assedio degli Aretini del 1258, in cerca di un
rinnovato equilibrio dopo la battaglia di Monteaperti (1260).
Margherita trovò accoglienza da parte di Marinaria e Raniera della
nobile famiglia Moscari che avevano il loro palazzo adiacente a Porta Berarda:
qui le riservarono una celletta che le avrebbe garantito insieme al suo bambino
una discreta solitudine all'interno del palazzo. Tramite le Moscari, Margherita
si presentò ai frati del Convento di S. Francesco dove ebbe modo di conoscere
quelli che sarebbero stati i suoi padri e consiglieri: fra Giovanni da
Castiglion Fiorentino e fra Giunta Bevegnati.
All'amore e al perdono ricevuto Margherita non poté che rispondere
che con un intenso desiderio di una vita centrata unicamente e concretamente su
Cristo: chiese di essere ammessa al Terz'Ordine Francescano della Penitenza ma i
frati "dubitavano della sua perseveranza, sia perché troppo bella, sia perché
troppo giovane" (I, 3). Dovette attendere tre anni durante i quali ebbe inizio
con grande serietà la sua impresa penitenziale: si immerse nelle opere di
carità, nella preghiera - mediante la partecipazione all'Ufficio Divino e alle
celebrazioni nella chiesa dei Frati Minori - e nelle pratiche di penitenza
aumentando progressivamente l'austerità di vita.
Per mantenere se stessa e il suo bambino assisteva le partorienti:
"preparava cibi saporiti richiesti dal loro stato mentre per sè continuava il
digiuno come se fosse quaresima"; con vero spirito evangelico però "non le
incomodava con il farsi preparare cibi particolari per osservare il suo digiuno
e astenersi mentre esse mangiavano carne: mangiava invece anch'essa, sia pure
poco, di quello che veniva portato in tavola per tutti" e soprattutto "non si
permetteva di giudicare coloro che mangiavano, bevevano e si divertivano" ( II,
1).
Nell'anno 1275
Margherita "già datasi a Cristo con purezza d'animo e fervido cuore, si
inginocchiava davanti a fra Rainaldo Custode di Arezzo e a mani giunte, con
molte lacrime, si offriva umilmente di sua spontanea volontà, anima e corpo,
all'Ordine del Beato Francesco e vi fu accolta, avendo anche ottenuto dopo
molte insistenze l'abito del Terz'ordine dello stesso Beato Francesco" (I, 1).
Dopo la vestizione apparve una "donna nuova" come attesta la Legenda: si
preoccupò di collocare il figlio presso un precettore ad Arezzo perché avesse
studi regolari e si trasferì in una cella vicino a casa Moscari dove con
maggiore libertà poté dedicarsi al servizio dei poveri e alla preghiera.
Il suo rapporto con il Signore Gesù cresceva in intensità e intimità:
in esso Margherita trovava la sorgente del suo donarsi fino a non fare più
calcolo di se stessa. Tale rapporto viene riportato nella Legenda attraverso una
serie di colloqui ininterrotti e di dialoghi amorosi: se questi furono
illuminazioni interiori o anche parole esteriori talora sensibili, oppure un
procedimento letterario mediante il quale fr. Giunta ha voluto trasmetterci il
cuore dell'esperienza margheritana, non cambia l'essenza di ciò che a noi
interessa cogliere, ossia il cammino interiore di Margherita vissuto da vera
figlia di S. Francesco e di S. Chiara nella conformità progressiva a Cristo
povero e crocifisso, sommamente amato. Già il primo colloquio ci offre il tono
della sua esperienza spirituale: "Una volta, mentre pregava devotamente davanti
al Crocifisso ne udì la voce dirle: che vuoi poverella? Ed essa, illuminata
dallo Spirito Santo, rispose immediatamente: Signore, mio Gesù, io non cerco,
non voglio altra cosa che te!" (I,1).
La sua nuova cella divenne punto di riferimento per i poveri: per
essi Margherita si fece mendicante questuando per le vie della città. Ella
"amava i poveri svisceratamente" (II, 3) e "dava via tutto come cosa loro" (III,
3): "Non voglio più trattenere per me nessuna cosa necessaria per mangiare e per
vestire. Voglio morire di fame per saziare i poveri; voglio svestirmi per
rivestire loro; voglio dare una tunica nuova a loro e io mi accontenterò dei
loro stracci e resterò povera di ogni cosa, perché essi ne abbiano in
abbondanza" (VI, 18).
Il
servizio che rendeva alle partorienti le impediva di assistere come avrebbe
desiderato alle Messe e alle prediche nella Chiesa di S. Francesco: si liberò da
esso anche perché si accorse che occorreva qualcosa di più stabile per aiutare
efficacemente poveri, malati e feriti, particolarmente numerosi per le continue
guerre tra Arezzo e Cortona. Incontrò una serie di persone animate dallo stesso
spirito di penitenza e di carità che la seguiranno poi per tutta la vita. Tra
queste una nobile signora, Diabella, che mise a disposizione la sua stessa casa
e collaborò con Margherita dotandola di ogni bene "mobile e immobile per
assicurare un aiuto più generoso ai poveri" (II, 2). Nacque così il primo nucleo
dell'Ospedale S. Maria della Misericordia, tuttora esistente: per il suo
sostegno fu fondata una Confraternita i cui Statuti furono approvati dal Vescovo
di Arezzo nel 1286.
Come
riferisce la Legenda, la Casa di Misericordia fu l'opera del cuore di
Margherita: ad essa si dedicò interamente e la considerò tutta a disposizione
dei poveri. Per essi Margherita era sollievo e lume di gioia: il suo cuore
traboccava di tenerezza, si apriva ad ogni disperazione, compativa ogni pena.
Ella sentiva l'urgenza di nutrire gli affamati e curare i malati, ma ciò non le
bastava: "Tutti costoro - dichiarò al suo confessore - oppressi e assediati
dalle sofferenze, io vorrei liberare dalle pene per prenderle tutte addosso a
me" (II, 5) e "se mi fosse permesso io darei ai poveri volentieri anche il mio
cuore" (VIII, 1). I poveri, le scelte sempre più radicali di povertà, sono per
Margherita, come già lo era stato per Francesco e Chiara, la persona stessa di
Gesù, il Verbo di Dio contemplato e vissuto nell'umiltà e povertà della sua
incarnazione e passione. Per tutta la vita Margherita non si distaccò mai né dai
poveri né dalla povertà e a chi era preoccupato della sua eccessiva misura
rispondeva: "Perché non mi permettete di camminare per la via stretta e
desiderata della povertà?" (IX, 30). Sembra di udire l'eco delle parole di
Chiara quando, rispondendo a Papa Gregorio IX che "si studiava di persuaderla ad
accettare qualche possedimento per la sua nascente comunità, ella disse: Santo
Padre, a nessun patto e mai in eterno, desidero essere dispensata dalla sequela
di Cristo".
"Figlia!"
Le esigenze della sequela porteranno Margherita ad obbedire a Cristo
quando, guidandola in un passaggio del suo cammino le indicherà: "Poverella mia,
Margherita, d'ora in poi non devi andare più in giro per Cortona a chiedere
l'elemosina, ma senza cambiare itinerario va' diritta alla chiesa dei Frati a
udire le Messe e ad ascoltare le prediche perché è a loro che ti ho affidata: a
loro ho comandato di avere cura particolare di te" (II, 5). E' lo stesso Signore
Gesù il suo maestro interiore: "Io mi sono fatto tua guida nel cammino, ti ho
pietosamente portato fuori dall'abisso profondissimo del mondo e delle tue
miserie. A me si deve il principio della tua conversione" (II, 9).
La rivelazione di questo amore fa da specchio a Margherita che cresce
nella consapevolezza dei peccati commessi e soprattutto li sente dentro di sé
come offese al Creatore, lacerazione non tanto di una legge quanto di un
rapporto di amore. Tale coscienza la porterà a "deplorare continuamente i suoi
peccati e a dichiararsi peggiore di tutti fino al punto di dire: Oh, che io non
fossi mai nata, Signore, dal momento che ti ho offeso così tanto e non osservo i
tuoi comandi. Ma il Signore la rimproverò duramente di questa frase" (IV, 17)
perché Egli non guarda la sua creatura secondo i nostri schemi: "Con la grazia -
le dice Gesù - io ti ho fatta bellissima davanti a me nel cielo. Tu ti proclami
spoglia di ogni virtù, io dico invece che ne sei adorna. Tu ti dichiari povera
perché credi di essere senza di me, io invece ti ho arricchita di me, tesoro
infinito" (VII, 20); "ti ho chiamata a penitenza perché fossi modello per i
peccatori. Non voglio, però, che tu continui a scrutare i tuoi peccati: gettati
piuttosto con essi tra le braccia della mia misericordia" (V, 15).
È forte in Margherita il bisogno di espiazione che si esprime in
gesti talvolta clamorosi e in atti di penitenza sempre più rigorosi,
nell'austerità del cibo, del vestire, del parlare, nel pianto continuo, nella
ricerca di patimenti corporali. Tutto ciò potrebbe urtare la nostra sensibilità
e farci sentire la Santa distante dal nostro itinerario quotidiano,
inaccessibile nel suo rigore. Certo, ella ha superato ciò che era richiesto a
una terziaria del suo tempo, ma imitarla non significa ripetere i suoi gesti
quanto cogliere lo spirito che li animava. Margherita è stata totale nella sua
conversione e i suoi gesti sono quelli di una innamorata di Dio nella
progressiva assunzione dell'amore con il quale Egli ha dato interamente se
stesso. L'espiazione é per lei esigenza d'amore, è autentica perché esprime una
disposizione interna del cuore: non è un calcolo per riconquistare la salvezza o
per "pagare a Dio il suo prezzo" (cfr. Sl 48). Non è in potere dell'uomo far
sparire il peccato, ma poiché esso si identifica nella sua radice con la
ribellione stessa dell'uomo contro Dio, l'espiazione e la penitenza lo
dispongono - con la rinuncia a "guadagnare la propria vita" - ad accogliere il
dono di Dio.
La
penitenza, quel non concedersi mai niente per sé, l'ha predisposta
progressivamente a diventare spazio completamente dedito all'amore di Cristo:
"Ma perché Margherita - le dice Gesù - mi chiedi sempre di gustare le mie
dolcezze e rifiuti di assaggiare le mie amarezze che ti predispongono ad esse?"
(II, 8). "E poiché l'amarezza scompare solo con la dolcezza e il freddo vien
meno solo con il calore, pur già afflitta da tante pene, si soffermava a
meditare sulla Croce e a ripensare alle sofferenze del Redentore: perché
nell'amaro supplizio di Cristo ogni amarezza dello spirito si raddolciva" (II,
3). Si ripete in Margherita l'esperienza che aveva "segnato" Francesco: "Ciò che
era amaro si tramutò in dolcezza di anima e di corpo" e Chiara: "Da quando ho
conosciuto la grazia del mio Signore Gesù Cristo nessuna pena mi è stata
molesta, nessuna penitenza amara". Per dirla con le parole della Legenda, è
Cristo stesso che all'indispensabile per Margherita "aggiungerà la dolcezza
della sua grazia" (III, 6).
In
questo contesto si può leggere l'avversione che ella aveva per la sua bellezza
tanto da indurla a deformare definitivamente il proprio volto se solo fra Giunta
glielo avesse permesso. Le fu vietato anche di recarsi a Montepulciano dove
avrebbe voluto mendicare di porta in porta col volto bendato come una cieca,
trascinata per mano e derisa da una donna; ottenne invece di tornare a Laviano,
suo paese natale, dove in giorno di Domenica chiese pubblicamente perdono
durante la Messa nella chiesa parrocchiale.
Desiderio di Margherita, dopo essersi sentita chiamare da Cristo col
nome di "poverella", era quello di "venire adottata da Dio Padre come vera
figlia e quindi essere a Lui unita inseparabilmente". A tale desiderio il
Signore Gesù rispose invitandola a compiere una confessione generale per
purificarsi interiormente; fatto ciò, Margherita "si accostò con devozione al
sacramento del Corpo e del Sangue del Signore e dopo aver mangiato il Pane Vivo
che dà la vita al mondo, udì il Signore chiamarla dolcemente: Figlia! Quella
voce fu così dolce che Margherita si sentì quasi venir meno e morire per la
grande gioia" (II, 6). E' l'inizio di una intimità che crescerà a dismisura: non
solo verrà chiamata figlia, ma anche "sorella, amica, sposa" a indicare quanto
il Signore Gesù si donava a lei e lei a Lui.
Quello di Margherita é però un amore che il Signore dovrà purificare
costantemente dalla ricerca in lei ricorrente di gratificazioni: "Se tu avessi
il perfetto amore non vorresti soltanto stare ad attingere alle mie
consolazioni" (V, 46). Più volte Egli le fa capire come la sua presenza non è
legata allo sperimentare dolcezza e gioia nella preghiera: "quando mi cerchi
nelle lacrime e nell'aridità io sono con te" (VI, 2) e come anche nel suo
cammino spirituale centri troppo l'attenzione su se stessa: "ma tu, Margherita,
non ti preoccupi che di te" (VII, 29). Difatti talvolta si trovava a pensare
dentro di sé: "Che cosa mi darà ora il Signore? Di queste riflessioni il Signore
la rimproverò dicendo: Perché ti sforzi di misurare la Sapienza infinita? Tu non
devi scrutare quello che faccio in nessuna sua parte" ( IX, 38 ).
In missione
Rimaniamo
sconcertati di fronte a tanta familiarità e ci appare come un "privilegio". E in
realtà lo fu: il rapporto tra Gesù e Margherita era "straordinario". Ma i
privilegi che Dio concede non sono mai per la sola persona bensì per la missione
che ella è chiamata a compiere in un preciso momento della storia, a contatto
con persone e realtà concrete. Tanti sono i passi della Legenda che ci
illustrano la missione di Margherita "costituita come luce di una nuova vita nel
mondo al quale ti ho dato perché imiti la tua penitenza e si salvi" (V, 45).
Ella è "la via dei disperati, la voce della misericordia, lo specchio per i
peccatori" (X, 3), "rivestita di grande splendore per venir data come esempio di
così benevola chiamata e quindi come speranza per tutti di poter tornare al seno
della divina misericordia" (VII, 3). Per questo il Signore, nel farle dono di
partecipare ora della sua passione ora della visione della gloria, non manca di
ricordarle che "queste grazie non ti sono concesse soltanto per te ma anche per
gli altri miei figli i quali come te non ne sono degni. Però ne è degno quel
Sangue che sgorga con tanta abbondanza dal mio corpo sulla Croce per la
redenzione degli uomini ingrati" (VI, 27).
In tale confidenza Gesù rivela a Margherita le profondità del suo
Cuore, i suoi sentimenti, in due delle pagine più belle della Legenda: "Siano
benedette tutte le pene che ho sopportato per l'anima tua e sia benedetta anche
quella incarnazione. Benedette siano tutte le fatiche che ho sopportate e
l'amore per il genere umano! Io oggi ho pochi figli buoni in confronto dei
cattivi, ma se avessi al mondo anche un solo figlio benedirei tutte le pene che
ho sofferto per lui" (V, 44). "Se vuoi conoscere me, la tua carità ardente deve
sempre cominciare da me tuo Creatore. Poi ama intimamente tutte le creature
senza escluderne nessuna: tu sai che io li ho creati e con le mie sofferenze li
ho redenti. Perciò Margherita tu devi partecipare con la tua compassione al
dolore di tutti e rallegrarti con tutti coloro che gioiscono" (IV, 19).
Nell'accogliere quest'amore redentivo Margherita non può che
ripercorrere la medesima via di sofferenza tracciata da Gesù: ma qual'era in
realtà la pena più profonda per lei? Cos'era che feriva e segnava il suo cuore,
il suo amore appassionato, il suo rapporto intimo con il Signore? E' ciò che la
Legenda chiama il "timore" di Margherita, quella paura costante di perdere
l'Amato, di offenderlo, di non goderne per sempre nell'eternità. Ella ha sempre
bisogno di essere rasserenata, di trovare sicurezza e pace nel Signore, ma tale
timore non sembra mai acquietarsi. Come a S. Paolo, Gesù non le toglie la "spina
nella carne" ma progressivamente gliene rivela il senso e la portata salvifica:
"Io sarò e non sarò con te; sarai rivestita di grazia ma avrai l'impressione di
essere nuda, perché non permetterò di venir conosciuto da te, in te. Voglio
infatti che tu sii sempre nel timore per crescere nella mia grazia" (V, 33).
Il timore di Margherita è il cesello di Dio nel suo cuore che lo
forgia e lo dilata fino a renderlo cristallino, in una purificazione tale che
Cristo stesso la chiamerà "martire mia": "il tuo martirio è il timore che hai di
non perdermi e di non offendere me tuo Creatore" (X, 16).
L'intenso desiderio che le bruciava in cuore e che il Signore stesso
si preoccupava di alimentare, si espresse nella partecipazione alla Passione di
Cristo, da lei sofferta interiormente ed esteriormente in termini altamente
drammatici. Il colloquio con Cristo era nato proprio ai piedi del Crocifisso,
durante le comunioni eucaristiche, memoria di quel Corpo dato e di quel Sangue
versato per noi. Per giungere alla partecipazione alla Passione di Cristo,
Margherita, sulla scia della spiritualità francescana - che apprendeva
soprattutto dalle prediche dei Frati Minori - era "passata" dalla meditazione
costante dei misteri della vita di Cristo nella carne: l'incarnazione, la vita
a Nazareth, le sue fatiche quotidiane, la predicazione, fino alla sua morte e
risurrezione. "Una volta fra Giunta chiese a Margherita quale fosse il modo
della sua orazione. Ed ella rispose: Tornando a Gesù vedo lui neonato, i suoi
piedi senza calzamenti andare nei suoi viaggi faticosi... medito l'incontro con
la Samaritana... la pietà che aveva per i lebbrosi, i ciechi, il paralitico
presso la piscina... grado, grado riferisco in ciascun episodio infinite lodi al
Creatore" (VI, 6).
La
sua mente era "come confitta alla Croce di Gesù" e la meditazione della Passione
del Signore riempiva le lunghe ore passate in contemplazione nella Chiesa di S.
Francesco. Ciò le provocava un dolore "acuto e violento che piangeva e
sospirava" (II, 1) continuamente e apertamente: le lacrime, "acqua profonda del
cuore", sono una costante del suo cammino di fronte alle quali i Cortonesi si
sentivano coinvolti fino alla commozione anche se taluni giudicavano quel pianto
un'esibizione di vanagloria. Per questo Margherita si impose un totale silenzio,
ma Cristo la invitò a "non tardare di tornare al pianto antico, a non aver paura
delle mormorazioni. Non tardare di tornare alla Croce dove non solo ti
restituirò i doni di prima ma te ne darò di maggiori. Non cessare di gridare la
mia Passione... voglio però che di ciascun opera che mi son degnato di compiere
tu dica che fui mosso dal mio amore per le anime" (V, 12-13).
È la missione di Margherita che "annuncia" all'esterno quanto prova
all'interno nei confronti dell'Uomo dei dolori fino a che, in base al suo
"andare spesso alla ferita del costato" (XI, 7) e al suo esercizio
contemplativo, ottenne di "partecipare a quel dolore che la Madre aveva provato
presso la Croce ". Ciò avvenne in quel celebre Venerdì Santo, descritto
accuratamente nel capitolo più bello della Legenda, quando l'estasi della
Passione durò per tutto il giorno. Un mattino, prima che spuntasse il sole,
Margherita si recò, per invito del Signore, alla Chiesa dei Frati, per esservi
"mentalmente crocifissa davanti alla Croce. Così avvenne: dall'ora di Terza,
dopo la Messa Conventuale, fino al tramonto, restò assorta, in mezzo alla folla
commossa, soffrendo visibilmente le singole pene, fino allo spasimo, anzi fino
alla morte. All'ora Nona, in cui il Signore aveva esalato lo spirito, ella piegò
il suo capo obliquamente sul petto, tanto che noi la credevamo morta, avendo
pure perduto ogni sensibilità e movimento... Questo spettacolo così nuovo e
compassionevole, commosse tanto i cittadini di Cortona, che interrotti i loro
uffici e mestieri, uomini e donne, lasciati a casa i bambini nelle loro cune o
giacigli, in quel giorno accorsero più volte all'Oratorio del nostro Convento e
lo riempirono di pianti. Infatti la vedevano colpita da feroci dolori non come
fosse presso la Croce ma quasi posta sopra la Croce " (V, 3).
"Portatrice di pace"
E Margherita fu tutta e sempre lì, ferma al vertice insanguinato
della Redenzione col suo corpo ormai fuso coi dolori del Cristo. In questo
trasporto totale che la "prese" ella rimase però profondamente radicata nella
storia del suo tempo: condivise con i suoi cittadini le tribolazioni delle
guerre, le stesse sofferenze derivatele dalle contese tra fazioni e rimase
vicina alla storia personale della gente che ricorreva a lei per essere guarita
dai mali fisici, morali e spirituali. Preoccupazione costante di Margherita fu
il figlio che entrò a far parte dell'Ordine dei Frati Minori: la Legenda riporta
una lettera a lui indirizzata dalla quale traspare il suo sentimento materno
volto ora a guidare il figlio religioso nella sequela di Cristo (cfr. VIII, 17).
Margherita "figlia della pace e portatrice di pace" (VIII, 15) si
adoperò costantemente, anche insieme a fra Giunta, per ristabilire la pace tra
le fazioni della città e con il Vescovo Guglielmo degli Ubertini non esitando a
mettere quest'ultimo di fronte alle sue responsabilità. Costituita dal Signore
"voce nel deserto" (VIII, 13), ella svolse il suo ruolo profetico leggendo il
momento difficile vissuto da Cortona come conseguenza di una latitanza da parte
del clero secolare e regolare. Invitò i Cortonesi alla pace tra di loro come
condizione per ottenere quella con gli altri e "mentre pregava per i suoi
diletti concittadini il Signore le rispose che si sarebbe fatta pace fra loro e
il Vescovo Guglielmo e presto si sarebbero accordati con lui" (IV, 4). Ciò
avvenne nel 1277 concludendo un lungo periodo di tentativi del Vescovo e Conte
d'Arezzo e dei suoi predecessori di impossessarsi di Cortona.
Margherita amava la sua città "nella quale - diceva - Dio mi ha
voluto fare tanti doni" (VI, 15): ella trovò Cortona come campo di lavoro
profondamente spirituale e a sua volta i Cortonesi trovarono in lei una
benedizione. A lei, "posta come medicina che guarisce molte anime malate" (VIII,
19), ricorrevano per essere liberati dai loro mali, per essere illuminati
nell'animo - non ultimi gli stessi Frati Minori - e "la gente si sentiva
rinnovata nell'amore di Dio" (V, 9). Tale pienezza di dono fu credibile e rese
Margherita cortonese: il rapporto fu ricco, di scambio profondo, segno potremmo
dire del rapporto tra Margherita e il Signore Gesù. In forza di questa
reciprocità, custodita con amore nel tempo, Margherita e Cortona sono due nomi
inseparabili: vediamo ancora oggi Cortona come una città protesa verso di lei,
che risplende là in alto sul colle, e nello stesso tempo protetta da lei,
"difesa dalle sue sante preghiere" (IV, 6).
"Vera e perfetta letizia"
Dopo tredici anni di permanenza nella cella vicina a casa Moscari,
Margherita sentì il bisogno di salire più in alto, verso la Rocca, in una cella
più aspra e solitaria adiacente alla chiesetta di S. Basilio, devastata dagli
Aretini nel 1258 e che poi lei stessa si preoccuperà di restaurare nel 1290,
pregandone il Vescovo di Arezzo Ildebrandino dei conti Guidi di Romena,
succeduto a Guglielmo degli Ubertini nel 1289.
Le tre celle abitate successivamente da Margherita ne simboleggiano
il cammino che "sale" sempre più: gli ultimi nove anni (1288-1297) sono quelli
del "naufragio" nell'Assoluto di Dio.
Nel 1290 fra Giunta, che dopo la morte di fra Giovanni da Castiglion
Fiorentino (1288 circa) era rimasto l'unica sua guida, fu trasferito a Siena e
quindi Margherita dovette rinunciare alla sua assistenza spirituale. Gli altri
Frati ebbero qualche difficoltà nel frequentarla e portarle la comunione per cui
si affidò a un sacerdote, ser Badia Venturi, che a contatto con la sua santità
passò da una vita disordinata a una di fervore. A ser Badia, nominato nel 1290
Rettore della restaurata Chiesa di S. Basilio, dobbiamo le testimonianze
dell'ultimo tempo consegnate a fra Giunta che accorse a Cortona prima della
morte di Margherita.
Accanto
a lei ritroviamo in questi anni anche la piccola comunità di figli e figlie
spirituali che, seguendo il suo esempio, l'assistevano ora nelle sue necessità,
rispettandone però la solitudine. Pur continuando infatti a rimanere in contatto
con la sua gente, negli ultimi anni Margherita visse un maggiore isolamento
intensificando la sua vita di preghiera e di unione con il Signore. Questi anni
sono contrassegnati dall'acutizzarsi non solo delle sue sofferenze, ma anche
dalle insidie del demonio che, apparendole in varie forme, le rinfacciava i suoi
peccati passati, le sue penitenze o le insinuava il dubbio che i colloqui col
Signore fossero solo frutto di illusione.
L'urto della tentazione d'altra parte aveva accompagnato fin
dall'inizio il suo cammino: quanto avveniva in lei era sempre dolcezza e
tormento insieme. Margherita però aveva imparato alla scuola del Signore come le
due realtà potessero coesistere: "Più crescono in te i doni e più aumentano le
pene" (IV, 12). Lui stesso le aveva insegnato come "la sua vita avesse lo scopo
di ripercorrere le orme della sua" (XI, 4) e la invitava: "piangi perché anch'io
piansi; lavora perché anch'io lavorai e mi stancai; sii umile perché anch'io mi
umiliai: amami perché io ti ho amata" (XI, 10).
È il momento dell'intimità maggiore che prelude al suo pieno
compimento: "Figlia, in te io prendo il mio riposo" (VI, 23), "io vivo in te e
tu in me" (XI, 18); "Signore, tu sai bene che là dove tu sei, c'è vera e
perfetta letizia" (XI,10).
Margherita
visse gli ultimi anni nel desiderio intenso di ricongiungersi al Signore; il suo
sguardo interiore si era spostato da se stessa per perdersi nel respiro infinito
di Dio: suo figlio, i Frati, i Terziari, la gente che accorreva a lei ormai da
ogni parte, le preoccupazioni della Chiesa, le vicende della sua città ... tutto
era misteriosamente e realmente presente e raccolto in quel respiro che era
diventato anche il suo. "Figlia, il tuo mangiare e bere, dormire e vegliare,
tacere e parlare, tutta la tua vita, ora sono preghiera perché tu hai un
desiderio continuo di servirmi e timore di offendermi" (XI, 12).
Il 22 febbraio 1297, poco prima che sorgesse il sole, il volto di
Margherita si illuminò di gioia e di bellezza; poi spirò mentre i presenti, tra
i quali anche fra Giunta, avvertirono una misteriosa dolcezza e un soave
profumo: ciò fu accolto come un segno dei tanti doni di grazia e di santità di
cui Margherita era stata ricolma.
Un invito per
noi
"O
Margherita, più vana delle vane, che ne sarà mai di te?" (I, 3). Così veniva
scherzosamente rimproverata Margherita dalle sue amiche quando la vedevano
adornarsi troppo. Ora anche noi possiamo dare una risposta a questa domanda dopo
aver visto come un'esistenza può essere totalmente cambiata dall'accogliere
l'irruzione dell'amore di Dio.
Al
cammino umano e cristiano di Margherita, che pur conserva il suo carattere
"straordinario", si può affiancare il passo di ciascuno di noi: ella ci prende
per mano e con la sua vita, ormai in Dio e quindi ancora più vicina a noi, ci
dona la certezza sperimentata di un Amore "più grande del nostro cuore" (1Gv 3,
20), che non si contenta di "rattoppare" la nostra veste, ma nell'accoglierci
dopo il fallimento ci fa completamente nuovi, rivestiti di misericordia.
In lei possiamo scrutare un poco anche il nostro volto perché lo
splendido frutto di creazione nuova, di umanità piena fiorita in lei, la potenza
dello Spirito lo vuole portare a compimento anche in noi. Con la sua esperienza
sconvolgente della misericordia di Dio, Margherita ci mostra come l'umile e
gioioso pentimento è l'unica via, sia per il peccatore come per il "giusto", per
conoscere fino a che punto noi siamo profondamente amati.