Rosario meditato da Chiara Lubich



PREGHIERA INTRODUTTIVA

O Maria, per il tuo amore per noi,
donaci un po' della tua fede,
della tua speranza, della tua carità, della tua fortezza,
della tua perseveranza, della tua costanza, della tua umiltà,
della tua purezza, della tua mansuetudine, della tua misericordia,
di tutte le tue virtù, ché - passandole in rassegna -
capiamo una volta di più in qual grado tu le abbia vissute.

La Chiesa te l'ha affidata Gesù,
ma per la passione per lei, che ci arde in cuore,
osiamo interporre presso di Te anche la nostra supplica,
affinché presto avvenga l'unità della cristianità intera.

Sei onnipotente per grazia!
Tu lo puoi fare.

Amen.





Misteri Gaudiosi

Misteri Dolorosi

Misteri Gloriosi





MISTERI GAUDIOSI

NEL PRIMO MISTERO GAUDIOSO CONTEMPLIAMO L'ANNUNCIO DELL'ANGELO GABRILE A MARIA

L'angelo disse a Maria: “Non temere, Maria, perché hai trovato grazia presso Dio. Ecco concepirai un figlio, lo darai alla luce e lo chiamerai Gesù. Sarà grande e chiamato Figlio dell'Altissimo; il Signore Dio gli darà il trono di Davide suo padre e regnerà per sempre sulla casa di Giacobbe e il suo regno non avrà fine”. Allora Maria disse all'angelo: “Come è possibile? Non conosco uomo”. Le rispose l'angelo: “Lo Spirito Santo scenderà su di te. Su te stenderà la sua ombra la potenza dell'Altissimo. Colui che nascerà sarà dunque santo e chiamato Figlio di Dio. Vedi: anche Elisabetta, tua parente, nella sua vecchiaia ha concepito un figlio e questo è il sesto mese per lei, che tutti dicevano sterile: nulla è impossibile a Dio”. Allora Maria disse: “Eccomi, sono la serva del Signore, avvenga di me quello che hai detto”. (Lc 1,30-38)

Questa è la prima tappa della “via Mariae”. Maria, di fronte a Dio che la sceglie come Madre del Messia, che la rende protagonista nel suo disegno di salvezza, manifesta una fiducia incondizionata e vi si abbandona. Ma con tutta semplicità e colla libertà dell'amore, chiede lumi per capire. Non è una schiava che si sottomette ciecamente, è una figlia che si comporta come tale di fronte a Dio, suo Padre. Una volta però illuminata, vi si impegna con tutto il suo essere.
“Eccomi, sono la serva del Signore, avvenga di me quello che hai detto”. «... Sono la serva del Signore...». Per adempiere i suoi disegni, Dio ha bisogno solo di persone che si consegnino a lui con tutta l'umiltà e la disponibilità d'una serva. Maria - vera rappresentante dell'umanità di cui assume il destino - con questo atteggiamento lascia a Dio tutto lo spazio per la sua attività creatrice.
“Eccomi, sono la serva del Signore, avvenga di me quello che hai detto”. Queste parole di Maria ti dicono come tu, credente, devi vivere la tua realtà di cristiano. Esse infatti sono sempre state considerate come il culmine di ogni comportamento religioso di fronte a Dio perché, nello stesso tempo, espressione di passiva disponibilità e di attiva prontezza, sono vuoto abissale e totale pienezza. Il destino di Maria è eccelso e grandioso. Ma non è solo la Vergine che Dio chiama a generare Cristo in sé. Seppure in altro modo, ogni cristiano, e quindi anche tu, hai un simile compito. Pure tu devi incarnare Cristo nella tua persona fino a ripetere come san Paolo: «Non sono più io che vivo, è Cristo che vive in me» (Gal 2,20).
E quale il modo di attuare ciò? Accogliendo in te, con la disposizione di Maria, la Parola di Dio; quella che ti viene annunciata durante la Messa festiva o che vieni a conoscere dalla lettura del Vangelo, o anche questa, che mese per mese ti arriva, commentata. Accoglila con totale disponibilità, sapendo che non è parola d'uomo. Essendo Parola di Dio, contiene in sé una presenza di Cristo. Accogli dunque Cristo in te nella sua Parola. E con attivissima prontezza mettila in pratica, momento per momento. Se così farai, il mondo rivedrà Cristo passare per le vie delle nostre moderne città, Cristo in te, vestito come tutti, che lavora negli uffici, nelle scuole, nei più vari ambienti, in mezzo a tutti. E, quel che è più, vedrà partire da Lui che vive in te la scintilla della rivoluzione evangelica che trasforma ogni cosa; uomini e società per un mondo più umano, più buono, più unito.
Coraggio! C'è una magnifica avventura divina che ti attende. Non perdere l'occasione.


NEL SECONDO MISTERO GAUDIOSO CONTEMPLIAMO LA VISITA DI MARIA A SUA CUGINA ELISABETTA

In quei giorni Maria si mise in viaggio verso la montagna e raggiunse in fretta una città di Giuda. Entrata nella casa di Zaccaria salutò Elisabetta. Appena Elisabetta ebbe udito il saluto di Maria, il bambino le sussultò nel grembo. Elisabetta fu piena di Spirito Santo ed esclamò a gran voce: “Benedetta tu fra le donne e benedetto il frutto del tuo grembo! A che debbo che la madre del mio Signore venga a me? Ecco, appena la voce del tuo saluto è giunta ai miei orecchi, il bambino ha esultato di gioia nel mio grembo. E beata colei che ha creduto nell'adempimento delle parole del Signore”. (Lc 1,39-45)

Il secondo mistero della vita di Maria è la visita ad Elisabetta. Maria, subito dopo l'Annunciazione - «in quei giorni», dice infatti san Luca (Cf Lc 1, 39) - si è messa in viaggio per andare da Elisabetta ad aiutarla, giacché anch'essa aspettava un bambino pur nella sua tarda età. Maria vi andò «in fretta», dice il Vangelo, portando Gesù nel suo cuore... E, appena ebbe salutato Elisabetta, il bambino di lei sussultò di gioia nel suo grembo (Cf. Lc 1,41).
Questo “andare ad amare”, portando Gesù in noi, è fondamentale. Ma poi, dopo aver portato Gesù in noi amando, si deve passare al servizio concreto. Maria aiutò per tre mesi la cugina in tutte le faccende di casa. E così dobbiamo fare anche noi: l'amore non è completo se non è concreto. Maria dunque anche in questo episodio si manifesta come nostro modello, come nostra via. Se perciò vogliamo che lo Spirito Santo inizi a plasmare anche in noi la figura di Maria, dobbiamo innanzitutto ricordare quali sono i nostri prossimi verso i quali abbiamo il debito dell'amore: sono tutti quelli con cui viviamo, quelli che incontriamo durante il giorno...
Andiamo dunque in fretta verso tutti quanti possiamo, amandoli, e porgendo loro quanto abbisognano o desiderano: così facendo saremo anche noi delle “piccole Maria”. Maria non è andata da Elisabetta per cantare il Magnificat, ma per aiutarla. Così noi, non dobbiamo andare dai prossimi per svelare il tesoro cristiano che portiamo nel cuore, ma per portare con essi dolori e pesi e dividere gioia e responsabilità.


NEL TERZO MISTERO GAUDIOSO CONTEMPLIAMO LA NASCITA DI GESÙ A BETLEMME

Appena gli angeli si furono allontanati per tornare al cielo, i pastori dicevano fra loro: “Andiamo fino a Betlemme, vediamo questo avvenimento che il Signore ci ha fatto conoscere”. Andarono dunque senza indugio e trovarono Maria e Giuseppe e il bambino che giaceva nella mangiatoia. E dopo averlo visto, riferirono ciò che del bambino era stato detto loro. Tutti quelli che udirono, si stupirono delle cose che i pastori dicevano. Maria, da parte sua, serbava tutte queste cose meditandole nel suo cuore. (Lc 2,15-19) Ed ecco, la stella che i Magi avevano visto nel suo sorgere, li precedeva, finché giunse e si fermò sopra il luogo dove si trovava il bambino. Al vedere la stella, essi provarono una grandissima gioia. Entrati nella casa, videro il bambino con Maria sua madre, e prostratisi lo adorarono. Poi aprirono i loro scrigni e gli offrirono in dono oro, incenso e mirra. (Mt 2,9-11)

Il terzo mistero della vita di Maria è la nascita di Gesù (Cf. Lc 2,1-7), che Maria offre al mondo.
Quando si è incominciato a vivere il Vangelo, si è cercato di amare come il Vangelo insegna. Ma quando due o più di noi iniziano a farlo, ecco che l'amore diventa reciproco. Si attuano così quelle parole di Gesù: «Vi do un comandamento nuovo: che vi amiate gli uni gli altri; come io vi ho amato, così amatevi anche voi gli uni gli altri» (Gv 13, 34). Che cosa ne viene di conseguenza? Si stabilisce in mezzo a noi la presenza spirituale di Gesù. E questo
può avvenire nelle fabbriche, nelle scuole, nelle famiglie ove si creano cellule le vive del Corpo mistico, perché Cristo regna fra due o più, fra marito e moglie, fra superiore e inferiore, fra colleghi di lavoro, fra amici.
Anche noi, se viviamo il Vangelo, che di per sé è comunitario, riusciamo a dare Gesù spiritualmente al mondo, come Maria lo ha dato fisicamente.


NEL QUARTO MISTERO GAUDIOSO CONTEMPLIAMO LA PRESENTAZIONE DI GESÙ BAMBINO AL TEMPIO

Quando Gesù, a circa dodici anni, si ferma fra i dottori nel Tempio (Cf Lc 2, 41-50), i suoi genitori lo perdono.
Quando venne il tempo della loro purificazione secondo la Legge di Mosè, portarono il bambino a Gerusalemme per offrirlo al Signore, come è scritto nella Legge del Signore.
Ora a Gerusalemme c'era un uomo di nome Simeone, uomo giusto e timorato di Dio, che aspettava il conforto d'Israele; lo Spirito Santo che era sopra di lui, gli aveva preannunziato che non avrebbe visto la morte senza prima aver veduto il Messia del Signore. Mosso dunque dallo Spirito, si recò al Tempio; e mentre i genitori vi portavano il bambino Gesù per adempiere la Legge, lo prese tra le braccia e benedisse Dio: “Ora lascia, o Signore, che il tuo servo vada in pace secondo la tua parola; perché i miei occhi han visto la tua salvezza, preparata da te davanti a tutti i popoli, luce per illuminare le genti e gloria del tuo popolo Israele. (Lc 2,22-23.25-32)

Continuando a seguire Maria nei suoi misteri, noi la vediamo presentare il Figlio al Tempio (Cf Lc 2,22-35) e incontrare un uomo di nome Simeone. È un momento di gioia perché Simeone esclama: «Ora, lascia Signore, che il tuo servo vada in pace secondo la tua parola; perché i miei occhi hanno visto la tua salvezza» (Lc 2,29-30). Egli conferma con ciò che quel bambino è figlio di Dio. Però è pure un momento di dolore, perché Simeone aggiunge, rivolgendosi a Maria: «E anche a te una spada trafiggerà l'anima» (Lc 2, 35). Da allora senz'altro Maria non ha più potuto dimenticare quelle parole. La sua vita sarà sempre accompagnata dall'ombra del dolore, che certamente le si sarebbe presentato.
Una cosa un po' simile succede anche a noi quando cominciamo a vivere il Vangelo. Dapprima siamo trasportati anche dall'entusiasmo, oltre che dalla convinzione, in questa rivoluzione che il Vangelo propone. Ma a un dato momento il Signore, attraverso un discorso o uno scritto o un colloquio, ci fa capire quale sia la condizione indispensabile perché la scelta di Dio come ideale sia autentica. Ci viene parlato allora del dolore, della croce, di Gesù crocifisso e abbandonato.
Per poter proseguire la nostra strada e per poter continuare a dare Gesù al mondo è necessario che noi diciamo allora un secondo “sì”, il “sì” alla croce, come quello che Maria deve aver pronunciato nel profondo del cuore, ascoltando il vecchio Simeone.
Questa tappa della «via Mariae» di tanto in tanto ritorna poi nella nostra vita, quando, attraverso una circostanza dolorosa, o la voce dello Spirito Santo in noi, o altro, siamo invitati a riscegliere lui, Gesù Abbandonato, nelle sofferenze personali, nella pratica delle virtù, nei fratelli che più gli assomigliano.
Comprendiamo allora che su questa terra non si può vivere una vita di amore, la vita del vero amore, senza conoscere il dolore. Amare per il cristiano significa, infatti, vivere non la propria, ma la volontà di Dio e ciò costa; vivere non se stessi, ma i fratelli e ciò vuol dire rinnegarsi, sacrificarsi, morire, far perire l'«uomo vecchio», lasciar vivere l'«uomo nuovo», anche se l'amore poi è foriero di nuova luce, di pace vera, di gioia piena.


NEL QUINTO MISTERO GAUDIOSO CONTEMPLIAMO LO SMARRIMENTO E IL RITROVAMENTO DI GESÙ NEL TEMPIO

I genitori di Gesù si recavano tutti gli anni a Gerusalemme per la festa di Pasqua. Quando egli ebbe dodici anni, vi salirono di nuovo secondo l'usanza; ma trascorsi i giorni della festa, mentre riprendevano la via del ritorno, il fanciullo Gesù rimase a Gerusalemme senza che i genitori se ne accorgessero. Credendolo nella carovana, fecero una giornata di viaggio, e poi si misero a cercarlo tra i parenti e i conoscenti; non avendolo trovato, tornarono in cerca di lui a Gerusalemme. Dopo tre giorni lo trovarono nel Tempio, seduto in mezzo ai dottori, mentre li ascoltava e li interrogava. E tutti quelli che l'udivano erano pieni di stupore per la sua intelligenza e le sue risposte. (Lc 2, 41-47)

Si può immaginare quale sia stato d'animo di Maria, dopo averlo cercato e ritrovato: «Figliolo, perché ci hai fatto così? Ecco tuo padre ed io, angosciati, ti cercavamo» (Lc 2,48). In questo nuovo passo della vita di Maria ci sembra di riscontrare un'analogia con un tipico fenomeno che accade a coloro che amano Dio, ad una certa età spirituale. Infatti essi, dopo aver conosciuto e scelto il nuovo ideale di vita, ed aver corrisposto alle molte grazie avute dal Signore, a un certo momento avvertono, con acuta insistenza, un riaffiorare di tentazioni che da tempo ormai non li avevano più tormentati e che, per una grazia speciale, sembravano definitivamente superate. Sono tentazioni in genere contro la pazienza, contro la carità, contro la castità. Ed esse a volte sono così forti, che offuscano il fascino della luce che ci aveva prima illuminato. L'entusiasmo svanisce e il nostro slancio viene frenato. Allora noi ne soffriamo e rivolgendoci al Signore quasi ci lamentiamo con lui come fece Maria: «Perché ti sei allontanato da me? Ti eri reso così presente alla mia anima da farmi credere che con te avrei potuto vincere il mondo. Ora sono nel buio della tua assenza». E il Signore sembra darci una risposta, un po' come ha fatto con Maria, e dirci: «Non sapevi che tutto quello che ti ho dato è mio e che per sola grazia l'hai ricevuto? Ti sono sopravvenute tali aridità e tali tentazioni perché tu possa comprendere bene questo. Così io potrò fare in te ciò che vuole il Padre mio».
Il fenomeno di cui parlo è quello che i mistici chiamano la «notte dei sensi». Anche per Maria, in certo qual modo, la perdita di Gesù giovanetto costituì una notte dei sensi. Non vedeva più Gesù, non udiva più la sua voce. La sua presenza si era sottratta al suo amore sensibile di madre.
Per Maria, dopo questa prova, vi fu un lungo periodo nel quale ella poté convivere con Gesù (Cf. Lc 2,51-52), e nessuno al mondo potrà mai sapere quanto quella convivenza sia stata profonda e apportatrice di soprannaturali consolazioni.
Parallelamente coloro che, umili, accettano queste a volte lunghe prove e con la grazia di Dio le superano, possono poi avanzare nelle varie esperienze della vita d'unione con Dio in una più profonda e nuova intimità con lui, che prima non avevano mai sperimentato.





MISTERI DOLOROSI

NEL PRIMO MISTERO DOLOROSO CONTEMPLIAMO L'AGONIA DI GESÙ NELL'ORTO DEGLI ULIVI.

Gesù, uscito se ne andò, come al solito, al monte degli Ulivi; anche i discepoli lo seguirono. Giunto sul luogo disse loro: “Pregate, per non entrare in tentazione”. Poi si allontanò da loro quasi un tiro di sasso e, inginocchiatosi, pregava: “Padre, se vuoi, allontana da me questo calice! Tuttavia non sia fatta la mia, ma la tua volontà”. Gli apparve allora un angelo dal cielo a confortarlo. In preda all'angoscia, pregava più intensamente; e il suo sudore diventò come gocce di sangue che cadevano a terra. Poi, rialzatosi dalla preghiera, andò dai discepoli e li trovò che dormivano per la tristezza. E disse loro: “Perché dormite? Alzatevi e pregate, per non entrare in tentazione”. (Lc 22,39-46)

In quella tragica notte nell'orto degli ulivi, Gesù sprona i suoi alla preghiera, con accenti accorati e usando per ben due volte le stesse parole: “Pregate, per non entrare in tentazione” (Lc 22,46). Questo passo del Vangelo, come del resto tutta la vita e
l'insegnamento di Gesù, è un invito alla preghiera come qualcosa di indispensabile, di essenziale all'essere stesso di ogni uomo e di ogni donna. Gesù pregava il Padre suo e ci ha insegnato a fare altrettanto, rivolgendoci a Dio come Abbà, Padre, papà, babbo mio, babbo nostro con la certezza della sua protezione, con la sicurezza, con il cieco abbandono al suo amore, con quella forza e quell'ardore che ci permettono di affrontare ogni situazione della vita. Perché questo forte richiamo di Gesù? Perché, conoscendo egli la natura umana, sa che, una volta scattata la molla della tentazione, essendo la “carne debole”, c'è il pericolo che si ceda. Siamo in mezzo al mondo e, da qualsiasi parte ci giriamo, troviamo qualcosa che è in antitesi con Cristo e con la sua mentalità. Nel mondo si respira aria di consumismo, di edonismo, di materialismo, di secolarismo dappertutto. E proprio per difenderci da queste insidie, sempre pronte a colpirci e poi a scoraggiarci, Gesù ci indica il mezzo per eccellenza: la preghiera. Ma poiché sa che sa soli, in un mondo come il nostro, sarebbe difficile farcela, si offre lui stesso di darci una mano. Questo avviene quando preghiamo insieme, uniti nel suo nome e concordi nell'amore. Infatti, in questo modo, è lui stesso, presente fra noi secondo la sua promessa: “Dove sono due o tre riuniti nel mio nome, io sono in mezzo a loro” (Mt 18,20), la nostra più grande risorsa nelle prove della vita. Infatti, come diceva Giovanni Crisostomo, “grande è la forza proveniente dall'essere riuniti... perché, stando riuniti insieme, cresce la carità; e, se cresce la carità, necessariamente cresce fra noi la realtà di Dio”. Le parole di Gesù “Pregate, per non entrare in tentazione” sono parole angosciate dell'uomo-Dio, che vive il preludio della sua passione e vorrebbe evitare ai suoi discepoli dolori indicibili e dure lotte. Per raccogliere e far nostre le parole di Gesù dobbiamo, dunque, rivolgerci, come lui, al Padre, con la coscienza della nostra fragilità, ma anche con estrema Fiducia. E far questo sia con la preghiera personale, sia con quella comunitaria, dove Gesù è fra noi.


NEL SECONDO MISTERO DOLOROSO CONTEMPLIAMO GESÙ CHE VIENE FLAGELLATO ALLA COLONNA

Allora il governatore domandò: “Chi dei due volete che vi rilasci?” Quelli risposero: “Barabba!” Disse loro Pilato: “Che farò dunque di Gesù chiamato il Cristo?” Tutti gli risposero: “Sia crocifisso!” Ed egli aggiunse: “Ma che male ha fatto?” Essi allora urlarono: “Sia crocifisso!” Pilato, visto che non otteneva nulla, anzi che il tumulto cresceva sempre più, prese dell'acqua, si lavò le mani davanti alla folla: “Non sono responsabile, di questo sangue; vedetevela voi!” E tutto il popolo rispose: “Il suo sangue ricada sopra di noi e sopra i nostri figli”. Allora rilasciò loro Barabba e, dopo aver fatto flagellare Gesù, lo consegnò ai soldati perché fosse crocifisso. (Mt 27,21-26)

Contemplare la flagellazione di Gesù significa imparare ad accettare i dolori fisici, grandi come una malattia grave o piccoli come uno stato di stanchezza. Accettarli ed offrirli a Gesù, unirli alla sua passione, perché così acquistano un valore infinito. L'uomo soffre certamente per un fattore negativo come un incidente o una malattia o una disavventura... Ma Dio, che è amore, dà un altro motivo, un senso nuovo al suo patire: con esso l'uomo dà un contributo alla propria salvezza, alla propria santificazione, e concorre a quella dei suoi fratelli. Sì, ci vuole pure il nostro patire per riuscire a cambiare le persone, a creare un mondo nuovo. Per noi, infatti che vogliamo lavorare per il regno di Dio, è soprattutto la croce che vale, e vediamo perciò nella malattia qualcosa di prezioso: essa ci ricorda quel qualcosa che Gesù ha scelto per la redenzione del mondo, che è, appunto, il dolore. Il dolore è un dono che Dio fa ad una creatura. E questo non è soltanto un modo di dire per consolarci o per consolare glia ammalati. Tutti coloro che stanno poco bene sono veramente amati da Dio in modo speciale, perché più simili a suo Figlio.
In tutte le sofferenze, comunque, bisogna mettere in pratica quello che vado ripetendo da quando ho incoraggiato a scegliere nella vita solo Gesù abbandonato come proprio ideale. Dire a lui: «Sei tu, Signore, l'unico mio bene, perché ho scelto
te; non ho scelto altri. Quindi io voglio te. Se mi dai delle gioie, per rinvigorirmi, in modo che sia più facile abbracciare poi il dolore, ben vengano. Ma io ho scelto il dolore perché in esso ci sei tu».


NEL TERZO MISTERO DOLOROSO CONTEMPLIAMO GESÙ CHE VIENE CORONATO DI SPINE

Allora i soldati del governatore condussero Gesù nel pretorio e gli radunarono attorno tutta la coorte. Spogliatolo, gli misero addosso un manto scarlatto e, intrecciata una corona di spine, gliela posero sul capo, con una canna nella destra; poi mentre gli si inginocchiavano davanti, lo schernivano: “Salve, re dei Giudei!” E sputandogli addosso, gli tolsero la canna e lo percuotevano sul capo. Dopo averlo così schernito, lo spogliarono del mantello, gli fecero indossare i suoi vestiti e lo portarono via per crocifiggerlo. (Mt 27,27-31)

Contemplare l'incoronazione di spine di Gesù significa imparare ad accettare i dolori morali, le delusioni, le amarezze, le piccole e grandi umiliazioni che nella vita inevitabilmente dobbiamo subire. Accettarli ed offrirli a Gesù, unirli alla sua passione, perché così acquistano un valore infinito. Come dobbiamo comportarci, quindi, quando ci si presenta un dolore? Si va in fondo al cuore e si dice: «Gesù, io voglio seguirti, anche in croce, anche abbandonato, e adesso ne ho l'occasione. Ti offro questo dolore, sono felice di avere questo dolore da donarti» E poi ci si mette ad amare il fratello, o si continua a fare qualsiasi altra volontà di Dio. In genere, se sono dolori spirituali passano, e così si può di nuovo riprendere il cammino della vita con pace e gioia.
Tutte le circostanze negative sono quindi così come sono, perché materialmente sono così; ma c'è pure in esse la mano, la Provvidenza di Dio che le trasforma, come in un'alchimia, e le fa diventare carburante per la nostra vita spirituale.


NEL QUARTO MISTERO DOLOROSO CONTEMPLIAMO GESÙ CHE PORTA LA CROCE AL CALVARIO

Mentre lo conducevano via, presero un certo Simone di Cirène che veniva dalla campagna e gli misero addosso la croce da portare dietro a Gesù. Lo seguiva una gran folla di popolo e di donne che si battevano il petto e facevano lamenti su di lui.
Ma Gesù, voltandosi verso le donne, disse: “Figlie di Gerusalemme, non piangete su di me, ma piangete su voi stesse e sui vostri figli. Ecco, verranno giorni nei quali si dirà: Beate le sterili e i grembi non hanno generato e le mammelle che non hanno
allattato. Allora cominceranno a dire ai monti: Cadete su di noi! e ai colli: Copriteci! Perché se trattano così il legno verde, che avverrà del legno secco?”. (Lc 23,26-31)

Questo mistero, la condanna a morte di Gesù, ci spinge a meditare sulla nostra morte. Sorgerà il giorno nel quale anche per noi arriverà la “condanna a morte”, un giorno che del quale noi non vedremo il tramonto su questa terra. E allora il modo migliore per prepararsi a quel giorno è accettarlo subito, sin d'ora, dicendo con tutto il cuore a Gesù: “Quando verrà la mia condanna a morte, voglio come te accettare la morte. Io l'accetto quando tu vuoi, come tu vuoi, anche sotto un'automobile, anche a causa di una malattia, anche subito, anche fra dieci anni. Io l'accetto come l'hai accettata tu.” Ma per vivere coerentemente con questo spirito, non dobbiamo mai dimenticare quelle parole di Gesù: “Se qualcuno vuol venire dietro a me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce ogni giorno e mi segua”. (Lc 9,23)
Non c'è cristiano senza la croce. Se non portiamo la nostra croce non possiamo seguire Gesù che sale al Calvario portando la sua croce. La croce è la radice della carità. Con essa abbiamo una vita solida, ben piantata, protetta contro le tempeste.
Con essa si cammina sicuri. Due grandi amori deve possedere il nostro cuore: Maria come punto d'arrivo e la croce come mezzo per essere un'altra lei nel mondo, e adempiere i disegni di Dio.


NEL QUINTO MISTERO DOLOROSO CONTEMPLIAMO GESÙ CHE VIENE CROCIFISSO E MUORE PER NOI

Quando giunsero al luogo detto Cranio, là crocifissero lui e i due malfattori, uno a destra e l'altro a sinistra. Gesù diceva: “Padre, perdonali, perché non sanno quello che fanno”. (Lc 23,33-34) Stavano presso la croce di Gesù sua madre, la sorella di
sua madre, Maria di Clèofa e Maria di Màgdala. Gesù allora, vedendo la madre e lì accanto a lei il discepolo che egli amava, disse alla madre: “Donna, ecco il tuo figlio!” Poi disse al discepolo: “Ecco la tua madre!” E da quel momento il discepolo la prese nella sua casa. (Gv 19,25-27) Era verso mezzogiorno, quando il sole si eclissò e si fece buio su tutta la terra fino alle tre del pomeriggio. Il velo del tempio si squarciò nel mezzo. Gesù, gridando a gran voce, disse: “Padre, nelle tue mani consegno il mio spirito”. Detto questo spirò. (Lc 23,44-46) Vennero dunque i soldati e spezzarono le gambe al primo e poi all'altro che era stato crocifisso insieme con lui. Venuti però da Gesù e vedendo che era già morto, non gli spezzarono le gambe, ma uno dei soldati gli colpì il fianco con la lancia e subito ne uscì sangue e acqua. (Gv 19,32-34)

In questo mistero la Madonna ci addita un dolore particolare di Gesù, quello supremo, quando nel culmine della sua sofferenza, ha gridato: «Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato» (Mt 27,46). Il Figlio di Dio ebbe in quel terribile momento l'impressione che il Padre, che era uno con lui, lo abbandonasse. E lo strazio che provò nel suo intimo fu talmente abissale che non lo si può spiegare. Sperimentava nel suo cuore divino quella separazione da Dio che l'uomo s'era procurato col peccato con tutte le sue conseguenze: la sua anima era immersa nel buio più nero, nel dubbio più atroce, nell'assenza completa di pace; avvertiva tutto il peso dei nostri peccati che s'era addossato... Ma nonostante tutto egli si affidava con totale fiducia al Padre: «Padre - disse - nelle tue mani consegno il mio spirito» (Lc 23, 46). Maria, polarizzando la nostra attenzione su Gesù crocifisso e abbandonato, vuole aiutare anche noi a trovare la forza per superare ogni difficoltà. Se pure il nostro cuore soffrirà per una qualche mancanza di pace, di tranquillità, di sicurezza, ricorderemo quella sofferenza di Gesù. Se avvertiremo l'aridità, il buio, la confusione dentro di noi o se ci attanaglierà il dubbio o la pesantezza dei nostri peccati, penseremo a lui. E, andando in fondo al nostro cuore, gli diremo che vogliamo fare come lui: accettare il dolore, dirgli il nostro “sì”, amarlo sempre, subito e con gioia. Se così faremo, e continueremo poi a vivere la nostra vita cristiana, sperimenteremo, tra l'altro, come per miracolo, che, quando lo si abbraccia, il dolore - specie se spirituale - si tramuta, per una divina alchimia, in amore. E con la sofferenza ben portata crescerà in noi l'unione con Dio, e aiuteremo gli altri a trovarla o rinsaldarla.
Questo mistero, insieme a Gesù abbandonato, ci presenta la Madonna che, ai piedi della croce, pronuncia di nuovo il suo “sì” nella desolazione, cioè in un abisso di dolori più grande di ogni umana capacità.
Maria Desolata ai piedi della croce, nello straziante «stabat» che fa di lei un mare amaro di angoscia, è l'espressione più alta, in umana creatura, dell'eroicità di ogni virtù. Ella è la mansueta per eccellenza, la mite, la povera fino alla perdita del suo Figlio, il frutto del suo grembo, quella che poteva dirsi la sua opera, Gesù. Ella è la giusta che non si lamenta d'esser privata di ciò' che le appartiene per pura elezione, la pura nel distacco affettivo a tutta prova dal suo Figlio Dio... In Maria Desolata è il trionfo delle virtù della fede e della speranza per la carità che l'accese durante tutta la vita e qui l'infiammò nella partecipazione così viva alla redenzione. Maria Santissima ci insegna nella sua desolazione, che l'ammanta di ogni virtù, a coprirci di umiltà e di pazienza, di prudenza e di perseveranza, di semplicità e di silenzio, perché nella notte di noi, dell'umano che è in noi, brilli per il mondo la luce di Dio che abita in noi. Maria Addolorata è la Santa per eccellenza, un monumento di santità cui tutti gli uomini che sono e saranno possono guardare per imparare a rivestirsi di quella mortificazione che la Chiesa da secoli insegna e che i santi, con note diverse, hanno in tutti i tempi riecheggiato.
Amare Maria Desolata significa tante cose: non solo «perdere», saper perdere nel cuore di Gesù tutto ciò che abbiamo e siamo, per ritrovano poi, al momento opportuno, cresciuto e moltiplicato; ma è spesso stare come Maria ai piedi di qualche crocifisso vivo, e non riuscire, non poter togliere da quell'anima e da quelle carni lo strazio che le tormenta quasi fino alla disperazione. Preferiremmo essere noi a quel posto. E invece ci tocca assistere senza far nulla di fronte al chicco di grano che, morendo, geme, sicuri della risurrezione e dei frutti; ma per ora in uno «stabat» doloroso che sale non a conforto di chi amiamo, ma dritto in cielo, come incenso, ad implorare pietà per noi che, assieme, consumiamo la nostra vita. E lo «stabat» impotente. In quei momenti pensiamo a Maria Desolata e preghiamola di alleviare il dolore di chi soffre e di anticipare i tempi del sollievo.
Ricorriamo a lei che è la nostra Madre. Proprio in quei momenti, infatti, Gesù, dicendo “Donna, ecco il tuo figlio” (Gv 19,26) e , rivolto a Giovanni,: “Ecco tua madre” (Gv 19,27), ha affidato a Maria l'umanità e ha indicato a ciascun uomo la Madre.




MISTERI GLORIOSI

NEL PRIMO MISTERO GLORIOSO CONTEMPLIAMO GESÙ CHE DOPO TRE GIORNI RISORGE DALLA MORTE

Quando i discepoli furono vicini al villaggio dove erano diretti, egli fece come se dovesse andare più lontano. Ma essi insistettero: “Resta con noi perché si fa sera e il giorno già volge al declino”. Egli entrò per rimanere con loro. Quando fu a tavola con loro, prese il pane, disse la benedizione, lo spezzò e lo diede loro. Allora si aprirono loro gli occhi e lo riconobbero. Ma lui sparì dalla loro vista. Ed essi si dissero l'un l'altro: “Non ci ardeva forse il cuore nel petto mentre conversava con noi lungo il cammino, quando ci spiegava le Scritture?”. E partirono senza indugio e fecero ritorno a Gerusalemme, dove trovarono riuniti gli Undici e gli altri che erano con loro, i quali dicevano: “Davvero il Signore è risorto ed è apparso a Simone”. (Lc 24,28-34)

Il mistero della risurrezione di Gesù porta a meditare su una stupenda realtà: se noi facciamo la volontà di Dio qui sulla terra, la vita non finirà con la morte, perché la vita che noi amiamo è la vita soprannaturale, è la vita dell'amore di Dio, è la vita del Cielo in cui continueremo a fare la volontà di Dio giacché in cielo tutti fanno la volontà di Dio. Dunque facendo la volontà di Dio la morte sarà per noi solo un passaggio da questa vita a una nuova vita. La vita dunque non finisce con la morte, ma semplicemente cambia, si trasforma.
Nella vita possiamo scegliere due direzioni: fare la nostra volontà o liberamente scegliere di fare la volontà di Dio. Ed avremo due esperienze: la prima, presto deludente, perché cercheremmo di arrampicarci sul monte della vita con le nostre idee limitate, coi nostri mezzi, coi nostri poveri sogni, con le nostre forze. Di qui, presto o tardi, l'esperienza del tran tran di un esistenza che conosce la noia, l'inconclusione, il grigiore e, a volte, la disperazione. Di qui una vita piatta, anche se la vuoi rendere colorita, che non soddisfa mai l'intimo più profondo di te.
La seconda possibilità è invece quella di cercare di fare sempre la volontà di Dio. E per capire quanto sia bello fare la volontà di Dio, immaginiamo Dio come il sole. Dal sole partono tanti raggi che baciano ogni uomo. Sono la volontà di Dio su di loro. Nella vita il cristiano, e anche l'uomo di buona volontà, è chiamato a camminare verso il sole, nella luce del proprio raggio, diverso e distinto da tutti gli altri. Solo così ciascuno compirà il meraviglioso, particolare disegno che Dio ha su di lui. Se faremo così, ci sentiremo coinvolti in una divina avventura mai sognata. Saremo attori e spettatori insieme d'un qualcosa di grande, che Dio opera in noi e, attraverso noi, nell'umanità.
Tutto quello che ci succederà, come dolori e gioie, grazie e disgrazie, fatti notevoli (quali successi e fortune, incidenti o morti di cari), fatti insignificanti (come il lavoro quotidiano in casa, in ufficio o a scuola), tutto, tutto acquisterà un significato nuovo perché a noi offerto dalla mano di Dio che è Amore. Egli vuole, o permette, ogni cosa per il nostro bene. E prima o poi noi ci accorgeremo ,guardando con gli occhi dell'anima, che un filo d'oro lega avvenimenti e cose e compone un magnifico ricamo: il disegno, appunto, di Dio su di ciascuno di noi.
È importante convincersi che la volontà di Dio va fatta nel momento presente. Il passato, infatti, se n'è andato e non si può rincorrerlo. Non ci resta che metterlo nella misericordia di Dio. Il futuro ancora non c'è. Lo vivremo quando diventerà attuale. In mano abbiamo solo il momento presente. E in quello che dobbiamo cercare di fare la volontà di Dio. Nel presente non è difficile sapere quale sia la volontà di Dio. Dentro il nostro cuore c'è una voce sottile, forse da noi un po' soffocata e divenuta quasi impercettibile. È la voce di Dio che ti dice che quello è il momento di studiare, o di amare chi ha bisogno, o di lavorare, o di superare una tentazione, o di seguire un tuo dovere di cristiano, o un altro di cittadino. Essa t'invita ad ascoltare qualcuno che ti parla in nome di Dio, o ad affrontare con coraggio situazioni difficili...
Prestiamo, dunque, ascolto a quella voce: è il tesoro più prezioso che possediamo. Seguiamola, e momento per momento costruiremo la nostra storia, la nostra vita, come una divina avventura, contemplando con stupore le meraviglie che Dio opera in noi.


NEL SECONDO MISTERO GLORIOSO CONTEMPLIAMO GESÙ CHE ASCENDE AL CIELO NELLA GLORIA

Poi Gesù condusse i discepoli fuori verso Betània e, alzate le mani, li benedisse. Mentre li benediceva, si staccò da loro e fu portato verso il cielo. (Lc 24,50) E poiché essi stavano fissando il cielo mentre egli se ne andava, ecco due uomini in bianche vesti si presentarono a loro e dissero: “Uomini di Galilea, perché state a guardare il cielo? Questo Gesù, che è stato di tra voi assunto fino al cielo, tornerà un giorno allo stesso modo in cui lo avete visto andare in cielo”. (At 1,10-11) Ed essi, dopo averlo adorato, tornarono a Gerusalemme con grande gioia; e stavano sempre nel tempio lodando Dio. (Lc 24,52-53)

Questo mistero, in cui contempliamo l'ascensione di Gesù al Cielo, ci spinge a tendere costantemente alle “cose di lassù” e cercare di migliorare sempre di più la nostra vita spirituale. Rinnovando costantemente la nostra decisione per il Paradiso, ogni mattina dobbiamo ripetere a noi stessi: “Oggi sarà meglio di ieri, domani ancora meglio di oggi.” Per vivere così dobbiamo avere sempre davanti a noi Maria Santissima quale nostro modello, nostro ideale, come nostro “dover essere”. Così realizzeremo noi stessi. E Gesù, dal cielo, vedendo in qualche modo in noi un'immagine della sua Madre, sarà confortato dal fatto che Ella attraverso noi potrà aprire nuovamente il cuore e le braccia all'umanità che soffre, soprattutto all'umanità lontana.


NEL TERZO MISTERO GLORIOSO CONTEMPLIAMO GESÙ CHE MANDA LO SPIRITO SANTO AGLI APOSTOLI RACCOLTI NEL CENACOLO IN PREGHIERA CON MARIA

Gli apostoli erano assidui e concordi nella preghiera, insieme con alcune donne e con Maria, la madre di Gesù e con i fratelli di lui. Mentre il giorno di Pentecoste stava per finire, si trovavano tutti insieme nello stesso luogo. Venne all'improvviso dal cielo un rombo, come di vento che si abbatte gagliardo, e riempì tutta la casa dove si trovavano. Apparvero loro lingue come di fuoco che si dividevano e si posarono su ciascuno di loro; ed essi furono tutti pieni di Spirito Santo e cominciarono a parlare in altre lingue come lo Spirito dava loro il potere d'esprimersi. (At 1,14;2,1-4)

Questo mistero, in cui contempliamo la discesa dello Spirito Santo sugli apostoli raccolti in preghiera con Maria nel cenacolo, ci spinge a rivolgerci più spesso allo Spirito Santo, ad amarlo di più, ad invocarlo prima della messa, della meditazione e all'inizio della preghiera, perché ci aiuti ad “andare in profondità”. Ma ci spinge anche ad accogliere con gioia la presenza di Maria in mezzo a noi. Quando i discepoli erano riuniti con Maria discese lo Spirito Santo che li investì in modo veemente ed essi pronunciarono parole di vita con una forza così travolgente da convincere migliaia di uomini a seguire Gesù. E battezzarono ed edificarono la Chiesa. Ma essi, come sottolinea la Scrittura, erano con Maria, insieme con lei. Era lei la presenza dell'amore, di un amore nuovo. Se noi ci amassimo fra cristiani come se vi fosse Maria, la Madre nostra, fra noi, credo che avremmo una maggiore comprensione della Parola di Dio predicataci dai seguaci degli Apostoli, ed essa penetrerebbe in noi come negli altri così fortemente da scatenare attorno a noi la rivoluzione cristiana...; perché, diciamolo pure, troppo si dormicchia e si bivacca e ci si trastulla in mille vanità, spacciandoci per cristiani, mentre la rivoluzione dell'odio invade il mondo.


NEL QUARTO MISTERO GLORIOSO CONTEMPLIAMO L'ASSUNZIONE IN CIELO DI MARIA

“Ora, figli, ascoltatemi: beati quelli che seguono le mie vie! Ascoltate l'esortazione e siate saggi, non trascuratela! Beato l'uomo che mi ascolta, vegliando ogni giorno alle mie porte, per custodire attentamente la soglia. Infatti, chi trova me trova la vita, e ottiene favore dal Signore; ma chi pecca contro di me danneggia se stesso. (Pr 8,32-36a) Io come una vite ho prodotto germogli graziosi e i miei fiori, frutti di gloria e ricchezza. Avvicinatevi a me, voi che mi desiderate, e saziatevi dei miei frutti. Poiché il ricordo di me è più dolce del miele, il possedermi è più dolce di un favo stillante”. (Sir 24,17-19)

Alla Madonna, assunta in cielo in anima e corpo, chiediamo che ci aiuti a farci santi, chiediamo che ci dia una mano per camminare sicuri nel “santo viaggio” verso il cielo. Fare della vita un “santo viaggio” è, infatti, la cosa più intelligente, perché ci sono alcuni che si accostano alla morte dopo una lunga malattia e altri che invece partono per il cielo all'improvviso.
E allora diciamo alla Madonna con tutto il cuore: “Siamo tuoi, tutti tuoi, figli tuoi, Maria. E se ci faremo santi, la santità sarà un piccolo dono che faremo a te quando arriveremo in Paradiso.”
Ma per farci santi dobbiamo “vivere dentro”, come Maria. Vivere dentro staccandoci da tutto, non per rimanere sospesi fra cielo e terra, ma per essere “radicati” in cielo, fissi nel Cuore di Gesù attraverso il Cuore di Maria, in un soggiorno trinitario, preludio della vita che verrà. Vivere dentro come Maria, dunque, e offrire al prossimo solo la linfa che sgorga dal cielo dentro di noi, per servirlo veramente, e non scandalizzarlo con la nostra condotta poco santa.
La cosa più importante della nostra vita è «vivere», vivere con l'anima. Penso spesso che se io stessi per morire e mi domandassero: «Cosa dobbiamo fare?», risponderei: «Vivere, vivere». È quello che manca spesso. Si studia, si predica, si lavora, si fanno opere concrete, ma non si «vive». L'anima deve vivere ed è l'amore che la fa vivere, che fa vivere Gesù in essa. Bisogna «vivere». E vorrei dire anche che una delle cose fondamentali per la nostra vita spirituale è ricordarsi, nonostante i fallimenti e le mancanze, di ricominciare sempre. Non è, questa, una formula che vale solo per i principianti. I maestri di spirito dicono che pure i perfetti devono sempre tendere alla perfezione e quindi essere pronti a ricominciare. Questo ricominciare deve diventare l'elemento fondamentale della nostra vita spirituale, in ogni sua tappa. Ricominciare sempre a vivere la spiritualità dell'unità: abbracciare Gesù abbandonato nell'attimo presente, vedere Gesù nel prossimo ed amarlo...: ricominciare sempre a far sì che tutto quello che facciamo sia animato dal nostro Ideale.


NEL QUINTO MISTERO GLORIOSO CONTEMPLIAMO MARIA CHE VIENE INCORONATA REGINA DEL CIELO E DELLA TERRA NELLA GLORIA DEGLI ANGELI E DEI SANTI

“Ascolta, figlia, guarda, porgi l'orecchio, al re piacerà la tua bellezza. Egli è il tuo Signore: pròstrati a lui. Da Tiro vengono portando doni, i più ricchi del popolo cercano il tuo volto. La figlia del re è tutta splendore, gemme e tessuto d'oro è il suo vestito. E' presentata al re in preziosi ricami; con lei le vergini compagne a te sono condotte; guidate in gioia ed esultanza entrano insieme nel palazzo del re. Farò ricordare il tuo nome per tutte le generazioni, e i popoli ti loderanno in eterno, per sempre”. (Sal 44, 11a.12-16.18)

Se Maria è Regina, bisogna allora che regni! Ma come quella del Figlio, la sua regalità è regalità d'amore, il che significa che lei regnerà se noi la lasceremo fare, perché l'amore è rispetto della libertà. E regalità d'amore, ma è regalità, e come i migliori re governerà i suoi sudditi con somma dedizione, ma vorrà e dovrà farsi condottiera d'un esercito e combattere se i figli sono in pericolo. Anche oggi Maria penserà a condurre una guerra. C'è tanta tenebra in questo mondo, c'è tanto odio, c'è tanta persecuzione alla sua Chiesa delle cui membra è Madre, che non potrà star ferma, proprio perché la sua è una regalità materna. E allora, non potendo ritornare lei sulla terra, muoverà i suoi figli fedeli a questa battaglia. Quando nel mondo si seppe per la prima volta di lei, ai nostri progenitori fu presentata come vincitrice di una lotta, e l'Immacolata, che alza lo sguardo al cielo, riflettendo nei suoi occhi purissimi la pacifica beatitudine del paradiso, tiene sotto il piede il serpente schiacciato. È l'amore evangelico che nel mondo, dove la Chiesa è militante, non può non assumere anche questa forma. Maria dunque condurrà anche oggi una battaglia e vincerà. Istruirà i suoi sudditi e soldati all'uso delle armi celesti, con le quali vorrà trarre prigionieri più
uomini possibili dell'esercito avversario, confondendoli con un amore più forte della morte, nella speranza che all'inferno ritorni Satana, magari accompagnato dalle false filosofie, teorie, eresie bandite decisamente dal mondo, col minor numero possibile di uomini sconfitti, ma chiamati reiteratamente con tutti i mezzi e tutti i sistemi a tornare da lei, nella Chiesa che suo Figlio ha fondato non perché i peccatori si perdano, ma perché si convertano e vivano.
Tutti i popoli cristiani l'hanno già proclamata Regina loro, di loro e dei loro figli. Ma una cosa manca, e questa non la può fare Maria, dobbiamo aiutarla noi: manca la nostra collaborazione perché i popoli cattolici, come tanti fratelli uniti, vadano da lei a riconoscerla insieme Madre e Regina. Noi possiamo incoronarla tale se, con la nostra conversione, con le nostre preghiere, con la nostra azione, togliamo il velo che ancora copre la sua corona, la corona pur donatale dal Papa quando tempo addietro la proclamò Regina del mondo e dell'universo. Quel pezzo di mondo che sta nelle nostre mani dobbiamo deporlo ai suoi piedi. Se oggi dei confini sono stati quasi tolti da leggi non cristiane tra popoli anche tanto cristiani, Dio lo ha forse permesso perché il cammino di Maria nel mondo, che ha da venire, sia meno ostacolato e tutto risulti «sgabello per i suoi piedi» (Cf Mt 5,35), ai piedi della più grande Regina che cielo e terra conoscono: Regina degli uomini, Regina dei santi, Regina degli angeli, perché quando era in terra ha saputo immolare totalmente se stessa, ancella del Signore, ed insegnare con ciò ai figli suoi la via dell'unità, dell'abbraccio universale degli uomini, affinché sia come in cielo così in terra.





Donatella Dambra


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