Breve storia di San Massimiliano Maria Kolbe




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RICORDATEVI DELL'AMORE

Non è infrequente trovare all’inizio della vita di molti santi e sante un intervento soprannaturale, un “input” di origine divina che segnerà, guiderà e sosterrà la loro azione.
Lo troviamo nella vita di Don Bosco col famoso sogno dei nove anni (che poi lo accompagnerà anche in seguito). Nella vita di San Francesco quando in una visione sentì la sua missione: “Va’ e ricostruisci la mia Chiesa”.
Nella vita di Santa Giovanna d’Arco con le sue “voci” che le tracciavano il compito da realizzare nella vita. Naturalmente non dimentichiamo Maria di Nazareth e l’Annunciazione: l’intervento divino più decisivo e più “creativo” della storia.
C’è qualcosa di simile anche nella vita di Massimiliano Kolbe. Il senso autentico del suo destino umano sembrò segnato in una esperienza mistica che ebbe all’età di circa dieci anni.
Si trovava nella chiesa parrocchiale di san Matteo, a Pabianice. Al piccolo Massimiliano apparve la Beata Vergine Maria che teneva in mano due corone, una bianca e l’altra rossa.
Non raccontò mai a nessuno di questa visione, eccetto che a sua madre, Maria Dabrowska Kolbe.
La Madonna aveva chiesto a suo figlio di scegliere la corona bianca della purezza oppure quella rossa del martirio. Il ragazzo invece con prontezza le scelse tutte e due. Intraprendeva così con quella scelta un cammino che sarebbe durato tutta la vita.
Questo episodio fu raccontato dalla madre sotto giuramento.


Una “milizia” per convertire gli altri e... santificare se stessi

Massimiliano nacque presso Lodz, in Polonia l’8 gennaio 1894 da Giulio e Maria.
Nel 1907 insieme al fratello maggiore Francesco, Massimiliano entrò in prova nella casa dei Francescani a Leopoli, e nel settembre del 1910 indossò l’abito religioso.
Dopo il noviziato fu inviato a Roma per gli studi filosofici e teologici. Rimase nella Città Eterna ben sei anni. Qui venne ordinato sacerdote il 28 aprile 1918.
Dobbiamo segnalare una sua iniziativa importante cominciata il 17 ottobre del 1917: la fondazione dell’associazione “La milizia di Maria Immacolata” il cui fine era: “Procurare la conversione dei peccatori, degli eretici, scismatici, infedeli, e specialmente dei massoni, e la santificazione di se stessi e di tutti sotto il patrocinio della B.V. Maria Immacolata e mediatrice”. Così scrisse lo stesso Massimiliano.

Tornato in Polonia si ammalò di tisi e fu costretto a passare quattro anni in un sanatorio presso Zakopane.
Pur con salute malferma continuò la sua attività.
La fondazione dell’associazione “La milizia di Maria Immacolata” del 1917 era solo l’inizio delle sue opere religiose ed editoriali.
Nel gennaio del 1922 fondò la rivista mariana dal titolo “Il cavaliere dell’Immacolata”. Le difficoltà non si fecero attendere. Di duplice specie. La prima: i cosiddetti benpensanti.
Allora un giornale simile al suo veniva bollato come un semplice “almanacco del diavolo” e anche “breviario di futilità”. Non ci fece caso.
La seconda serie di difficoltà venne dai suoi superiori. Questi non erano preoccupati tanto delle questioni teologiche (non obiettavano in linea di principio) ma dai problemi amministrativi.
Non basta dire che sono opere di Dio e della Madonna. Vanno finanziate. E i debiti chi li avrebbe pagati?
Come si vede una questione non di alta spiritualità, ma molto terra terra.
Lo dissero apertamente a padre Kolbe.
E qui abbiamo la prima reazione da... santo, che ha fede nella Provvidenza e in ciò che sta facendo per amore di Dio e della Madonna, non certo per la propria carriera.
La stessa reazione che furono di Don Bosco (quando cominciò a costruire la grande basilica di Maria Ausiliatrice a Torino-Valdocco), o del Cottolengo.

Anche lui non si scompose e attese (dandosi da fare) la Provvidenza. Che arrivò con puntualità e con precisione.
Aveva appena finito di celebrare la messa quando vide sull’altare una borsa con la scritta: “Alla mia cara mamma, l’Immacolata”. Nessuno ci avrebbe scommesso una lira. Ma conteneva tutto il denaro necessario per pagare le spese già sostenute.
Ecco la potenza dei soldi anche in campo ecclesiale.
Tutte le obiezioni dei superiori si sciolsero come neve al sole. Capirono subito. E lasciarono fare, visto che aveva risolto “bene” la prima grana contabile.
Da quel giorno depositò vicino all’altare una scatola con un’immagine, incollata sopra, del Cottolengo, l’autentico maestro della fiducia nella Provvidenza.

Con questa iniziativa egli poneva le fondamenta delle future “Città dell’Immacolata”.
Anche in questa opera c’era un tocco di straordinario, proveniente dalla grande fiducia in Maria Immacolata. Ritornato dal sanatorio di Zakopane, si mise alla ricerca di un terreno alla periferia di Varsavia dove costruire la prima “Città dell’Immacolata”.
Il terreno adatto fu trovato ma apparteneva al conte Lubecki. Padre Kolbe vi collocò una statua dell’Immacolata. Il prezzo però era proibitivo.
Parlò direttamente col conte spiegandogli che cosa intendeva fare con quella terra. Gli arrivò un no gentile.
Finito il colloquio il conte gli chiese che cosa doveva fare di quella statua.
Kolbe gli rispose semplicemente di lasciarla al suo posto.
Questi capì che quel terreno non apparteneva più a lui ma a padre Kolbe, o meglio a Maria Immacolata. Nacque così la prima “Città di Maria”.
Una iniziativa che ha certamente dello straordinario, anche per lo sviluppo successivo in tutto il mondo.
Il suo ideale era uno solo: conquistare a Dio “per mezzo di Maria” un’anima dopo l’altra.


Come muore un santo nell’inferno di Auschwitz

Ma la Polonia era troppo piccola. Come per Don Bosco lo era l’Italia: mandò infatti i suoi primi missionari in Argentina. Così padre Kolbe: il suo zelo apostolico lo spingeva verso Oriente. Al superiore chiese di andare missionario in Giappone.
“Parlate il giapponese?”. “No”. “Avete i soldi?”. “No”. “Come pensate di ottenerli?”. “Mi rivolgerò ai miei protettori abituali”. Il superiore... capì, e lo lasciò partire.
In Giappone i religiosi non era molto ben accetti. Quando però seppero che aveva studiato a Roma e poteva insegnare filosofia, ottenne il permesso.
Anche qui fondò una “Città di Maria” e fece stampare in giapponese “Il Cavaliere dell’Immacolata”.
Era ben voluto da tutti perché sapeva dialogare con tutti: ebrei, protestanti, buddisti.
E trovò anche molti sostenitori alla sua opera, non solo in Giappone ma anche in Cina e in India.
Nella relazione che si fece al papa Pio XI nel 1937 fu scritto che la “Milizia Mariana” contava circa un milione di aderenti, e che anche le riviste di padre Kolbe messe insieme avevano una tiratura di più di un milione di copie.
Una cosa straordinaria.

Ai suoi scrittori collaboratori lui raccomandava: “Combattere il male secondo lo spirito della Milizia Mariana significa combattere con l’amore nei confronti di tutti gli esseri umani, compresi i meno buoni.
Significa dar rilievo al bene, in modo tale da renderlo irresistibile, invece di diffondere il male attraverso la sua descrizione.
Quando si presenta l’occasione di attirare l’attenzione della società o dell’autorità su qualche misfatto, bisogna farlo con amore verso la persona in causa, e con delicatezza. Non si deve esagerare o entrare nei particolari di tali misfatti più di quanto sia necessario per apportarvi un rimedio”.
Sono direttive che i giornalisti, un po’ in tutte le parti del mondo, dovrebbero tenere presenti.

Ma la sua salute diminuiva e politicamente la situazione in Europa precipitava.
La guerra scoppiò il primo settembre del 1939.
La prima vittima della furia nazista fu proprio la Polonia.
Anche le sue opere non furono risparmiate. Anzi lui stesso fu chiamato a pagare di persona.
Il 17 febbraio 1941 fu arrestato e imprigionato e poi il 28 maggio trasferito ad Auschwitz divenendo il N. 16670. Essendo sacerdote cattolico fu messo insieme ad ebrei ed usato per i lavori più umilianti.
Uno dei compiti era il trasporto dei cadaveri ai forni crematori.
Padre Kolbe lo compiva con dignità e solennità: per lui era un vero atto di liturgia.
Il fatto non passò inosservato, come pure quello di non lamentarsi mai.
Un giorno però un prigioniero fuggì dal campo. La rappresaglia contemplava la morte di altri dieci prigionieri.

Uno di questi prescelti per la rappresaglia, terrorizzato, chiese di essere risparmiato perché aveva moglie e figli.
E ci fu a questo punto il grande gesto di santità: l’amore allo stato eroico.
Kolbe dimostrò l’amore più grande possibile morendo per un suo prossimo, che non era un amico ma semplicemente un compagno di sventura.
Si fece avanti affermando, tra lo stupore generale, che voleva morire lui al posto di quel padre di famiglia.
La sua fine si compì dopo una lunga agonia nella “cella della fame” con una iniezione di acido muriatico.
Nel porgere il braccio al suo aguzzino mormorò “Ave Maria”. Le sue ultime parole.
Fu proclamato santo nel 1982, ed il papa gli riconobbe l’aureola del martirio, proclamandolo “patrono dei nostri tempi difficili”.

(Dal volume di MARIO SCUDU, "Anche Dio ha i suoi campioni", Editrice Elledici, Torino)


PENSIERI DI SAN MASSIMILIANO KOLBE

* “Non badare al giudizio degli uomini... Sei troppo grande perché gli uomini ti possano giudicare”.

* “La Croce è la scuola di amore”. “Dobbiamo dire che il nostro lavoro è bello ed importante; ma questa è cosa esteriore. Prima di ogni altra cosa dobbiamo avere cura della nostra vita interiore”.

* La preghiera nel campo di concentramento: “Madre santissima, per amore tuo mi offro a rimanere in questo duro carcere, anche se agli altri sarà concesso di tornare a casa. Rimarrò qui nella dimenticanza e nel disprezzo, senza amici e senza alcun conforto, a patire per Te. Mi offro particolarmente a Te, o Maria, affinché incontri la morte in questo campo tra uomini ostili ed indifferenti”.


Fonte:
www.donbosco-torino.it



Consacrazione a Maria composta da San Massimiliano Maria Kolbe:

Consacrazione a Maria Immacolata